MAURIZIO NAZZARETTO  NOTE BIOGRAFICHE E CRITICHE

MAURIZIO NAZZARETTO  NOTE BIOGRAFICHE E CRITICHE


Maurizio Nazzaretto


Nato a Genova nel 1950.



Maurizio Nazzaretto

Mostre più significative

1972 Genova, Galleria Carmagnola
1974
Torino, Galleria Arte Nova
1975
Milano, Galleria Presenze d'Arte
1977
Genova, Italsider
1978
Ivrea, Olivetti
1980
Venezia, Galleria Segnali d'Arte
1982
Genova, Galleria Rotta
1985
Milano, Galleria Schubert
1987
Firenze, Villa del Principe
1988
Genova, Santa Maria di Castello
1989
Milano, Galleria Schubert
1990
Miami, Morgan St. James Gallery
1990
Genova, Stadio Luigi Ferraris
1991
Genova, Palazzo Serra Gerace
1992
Genova, Parchi di Nervi
1992
Genova, Esposizione Colombiana
1994
Milano, Galleria Schubert
1996
Genova, Euroflora
1997
Genova, Museo d'Arte Contemporanea
1998
Venezia, Arsenale
2001
Genova, G8
2003
Genova, Loggia della Mercanzia
2005
Calice Ligure
2006 Genova, Loggia della Mercanzia
2006 Genova, Palazzo Ducale e Porto Antico
2007
Genova, Museo d'Arte Contemporanea
2008
Genova, Artrè Gallery
2008
Venezia, Arsenale
2011
Genova, Palazzo Ducale
2011
Venezia, Biennale, Padiglione Italia
2015
Genova, Fiera Internazionale

 

Due o tre cose che so di lui
Maurizio Frizziero

Non è necessario leggere tutto il testo anche se sono convinto che ne valga la pena, soprattutto per capire chi c'è dietro le sue opere. Non si tratta di una biografia nè di una pedante premessa critica, ma di un racconto dove il protagonista è uno scultore animato da un forte fuoco sacro. 

Maurizio Nazzaretto, scultore, a Milano, Galleria Schubert. Sono andato ad incontrarlo. Avevo già avuto modo, qualche anno prima, di accarezzare alcuni suoi bronzi a Bruxelles   e la settimana successiva di vederne altri tre a New York, nella hall del Plaza. Avevo chiesto di lui, ma se ne era andato da poco, mi sembra di ricordare in un paesino della costa occidentale del Canada, vicino a Delta B.C., un luogo strano, dove piove sempre. Anche per questo, ma soprattutto per la distanza, non me la sono sentita di raggiungerlo e me ne sono tornato a casa. Il giorno dopo ho trovato uno dei grafici del mio studio che stava progettando un manifesto per una mostra di uno scultore: Maurizio Nazzaretto, Galleria Schubert, Milano. Sono andato ad incontrarlo. Non c'era, ho scoperto che lui non c'è mai, se c'è si nasconde o per lo meno non si fa vedere. In compenso i suoi lavori ci sono, non si nascondono anzi! Fanno sentire la loro presenza in maniera forte, prepotente, aggressiva, invasiva, invadente. Mi ricordo una volta quando, a Londra, il suo gallerista permise ad una parte di alcune delle sue opere di attraversare dei cristalli, in realtà dei plexiglass, trattenendo le parti morbide all'interno degli spazi di visita e spostando verso il giardino le parti offensive, una specie di censura spaziale. Lui ha giocato a rimpiattino con me per parecchio tempo ma alla fine, succede sempre così, ci siamo incontrati in un bar, un bar affollato. Vicini per caso, abbiamo cominciato a parlare del tempo, esattamente come due inglesi, con un grande sfoggio di monosillabi. Come poi siamo finiti a parlare d'arte non lo ricordo ma so benissimo che ho cominciato a parlare di lui, di quello di suo che avevo visto e di quanto mi sarebbe piaciuto incontrarlo. Quando ho visto che cominciava a nascondersi e a non esserci più ho intuito che non poteva trattarsi di una coincidenza. Mi sono aggrappato a quello che di lui rimaneva e l'ho convinto a tornare indietro. Lo ha fatto, forse per farmi un favore e abbiamo iniziato a parlare, abbiamo continuato a parlare e poi siamo finiti nel suo studio dove ho cominciato a capire che spesso non ci rendiamo conto di quali problemi debba affrontare un artista. Il problema di quel giorno era quello di fare uscire le sue opere, tutte di grandi dimensioni, da porte o da finestre troppo piccole, per trasportarle al Museo d'Arte Contemporanea dove a giorni stava per essere inaugurata la sua mostra. Ho passato un giorno intero con lui discutendo tutte le soluzioni possibili e poi, il giorno dopo, ho assistito alla dissezione dei pezzi più grandi e alla loro successiva ricomposizione all'esterno, nel giardino dove era posteggiato il mezzo che li avrebbe portati a destinazione. Tutto questo avvenne nella più totale tranquillità, come se fosse stato tutto previsto e organizzato per semplificare il lavoro dei trasportatori. In realtà, me lo raccontò successivamente, si trattava di una situazione per lui normale, abituato come era a tagliare le sue plastiline o i suoi gessi prima delle spedizioni alla fonderia. Tanto per concludere l'inaugurazione della mostra ebbe luogo nella data prevista anche se parte delle opere vennero terminate durante i giorni successivi, un work in progress che venne poi utilizzato anche a Venezia l'anno successivo quando, all'interno del grandissimo spazio espositivo dell'arsenale, solo poche ore di sonno interrompevano la crescita di una nuova scultura e solo la data finale della mostra decise quale fosse l'ultima opera. Questo collaudato modus operandi ci permise di progettare il suo nuovo spazio operativo, una grande gabbia trasparente (da sistemarsi in grandi spazi, per esempio stazioni ferroviarie o terminal aeroportuali) e itinerante nella quale Maurizio Nazzaretto ogni mattina dovrebbe entrare dopo avere timbrato il cartellino e trascorrervi le otto ore canoniche assimilando il suo operare a quello di un semplice esecutore, controllato a vista da una webcam e da osservatori occasionali fino al completamento dell'opera e alla sua cessione allo sponsor di tutta l'operazione. Un'idea stravagante? No, infatti dalle gallerie commerciali di alcune città del nord Europa stanno giungendo i primi segni di interesse concreto anche se manifestano una certa perplessità sul fatto che un artista si presti con la continuità necessaria ad una azione scenica di un tale impegno. Ma non hanno tenuto conto del senso dell'humour che anima Maurizio Nazzaretto: l'idea gli è piaciuta ed è disponibile a fare da cavia per un esperimento del tutto innovativo. Mi piacerebbe vederlo presto all'opera, anche solo sul mio monitor.

Liberi nel parco
Pierre Restany

Il primo evidente carattere dell'opera di Nazzaretto risiede certamente nella dimensione del tutto poetica che questa subito afferma. Il suo lavoro infatti nasce da una osmosi attiva, una libera circuitazione di suggestioni tra due piani strutturali della sua sensibilità, il piano di cultura materiale e di oggettualità materica e quello dell'immaginario fantastico-fabulistico .
La dimensione del lavoro di Nazzaretto d'altra parte è essenzialmente autobiografica nel senso che nasce da un'esperienza concreta del suo vissuto metaforico. Non è dimensione autobiografica in termini di confessione, quanto come una comunicazione di segni, simboli e personaggi vissuti, dunque come coscienza di sè e del mondo.
La misura temporale implicita nel lavoro di Nazzaretto non risulta di tipo lineare quanto piuttosto di tipo circolare. Per l'artista il tempo non ha direzione, ma si riavvolge in una specie di centralità ciclica. Il suo problema non è la restituzione di un tempo naturale, ma anzitutto l'affermazione di una atemporalità poetica sul fondamento addirittura di una naturalità esuberante. 
La favola di Nazzaretto esce dal tempo per costituirsi messaggio attraverso la dilatazione immaginativa in un messaggio di infinitezza extradimensionale.
Guardate questi trenta personaggi liberamente disseminati nel parco. Sono quasi tutti in bronzo salvo due in acciaio e uno in resina plastica. Sono estrosi, leggeri e nello stesso tempo inesorabilmente pesanti. Sembrano far parte di un Corteo mitico, di una strana processione di militanti verdi ante-litteram dove Peter Pan si incontrerebbe con la bambola Barbie, il Cantore della Sinagoga con Il Cavaliere dell' Apocalisse, la Venere con il Giullare. Manca forse Pinocchio all'appello, però ci sono tante donne e madonne, ballerina, passeggiatrice, annunciazione, maternità...
Questa umanità uscita dai racconti medioevali e dalla iconografia rinascimentale di un parco genovese, un vero e proprio vocabolario di ecletticismo post-moderno. La favola si presenta come una sintesi di riferimenti culturali diversi e diversificati, lo sono in quanto vengono filtrati dall'immaginazione del loro autore. Nazzaretto è un uomo di oggi e le sue metafore favolose si inseriscono nel profilo uomano del nostro ambiente urbano. La favola dei tanti personaggi liberi nel parco si sviluppa all'immagine delle pulsioni collettive della nostra civiltà: è una favola immemorabile e aggiornata, portata all'esatta dimensione di uno spazio verde cittadino. Il parco diventa il territorio della favola. L 'esatta efficacia del talento di Nazzaretto si manifesta attraverso la collocazione di tutti i protagonisti intorno all'ombelico dell'operazione, il suo segnale, il suo simbolo: la fontana. La fontana è una installazione complessa di cinque figure in bronzo e dello stesso soggetto in vetroresina. Queste figure di tre metri di altezza sono i testimoni della logica e della fluidità del messaggio. La memoria di Nazzaretto è anche la nostra, e tutti i soggetti della sua favola di bronzo esprimono un so gno collettivo di felicità e di libertà nello spazio verde. Questi folletti uomani e animali sono il prodotto del "potere verde" nello spazio-tempo della sua operazione poetica Nazzaretto ha saputo dare il potere all'immaginazione libera.

Il coro
Raffaele Francesca - Ufficio Stampa Colombo '92

Nazzaretto, senza dubbio, sa usare la realtà come trampolino per i propri personali, obbligati tuffi nel surreale, arrotondando gli spigoli del vivere e rendendo pungenti i pigri esiti della noia, per ricomporre il tutto in un alveo pacificante: le tensioni verso l'alto, così come la maledizione delle cadute. La condanna di dover definire per necessità di dire e di dirsi, laddove solo certa musica ineffabile e, ancor meglio, il silenzio si avvicinano al sentire del proprio profondo.
Nazzaretto, senza dubbio, sa occupare lo spazio con forme che lo spazio integrano e rispettano, che lo abitano raccogliendo la luce e trasformandola in inquietanti fruscii di mondi lontani. Ciò ricorrendo ad una narrazione per sintesi, dagli accenti virili e decisi, la quale si affida a flash significativi e a una personale, dissacrante invettiva che sempre si confonde con la preghiera.
Nazzaretto, senza dubbio, sa esplorare orizzonti prossimi che inducono a guardare lontano dentro se stessi, in un gioco di specchi in cui la nostra sola presenza violenta gli altri, che a loro volta riducono le nostre più elementari libertà. I nostri aneliti, il nostro discreto proporci. Ma non il nostro sognare. E Nazzaretto sa, senza dubbio, sognare,  e del sogno - per amore di sè, degli altri, del fare -  ci fornisce resoconto prezioso.

Il coro
Andrea Ranieri

L 'ho osservato all'uscita dei Magazzini del Cotone - tre tunnel sovrapposti, una boutique delle nazioni con dentro il tutto e il niente di storie raccontate per celebrare il presente - e sono stato subito fiero aver contribuito affinchè fosse li, frutto anche dell'iniziativa del sindacato confederale.
Forme di ferro - quello della nostra siderurgia - che ti colpiscono, ti aggrediscono per poi alzarsi al cielo in un lungo grido. Voci di un continente, di una natura straziati, emarginati dallo sviluppo del quale l'Expò celebra la festa.
Forme pesanti come le catene con cui quegli uomini, quei popoli sono stati legati, ma capaci di alzarsi, e leggere come chi ha perso tutto, senza colpa. Puoi guardarli da lontano, ma puoi anche entrarci dentro: i bambini lo fanno con semplicità. 
Puoi pensare, e scegliere di essere una voce del "Coro".


Il coro
Maurizio Nazzaretto

La realizzazione del  "Coro" è stata resa possibile dal 
concorso di più volontà. La 
CGIL, la  CISL  e la  UIL, dando il patrocinio all'iniziativa, hanno scelto quest'opera per testimoniare la partecipazione dei sindacati genovesi alle celebrazioni  colombiane. A loro, e all'Ente Colombo che l'ha accolta nel prestigioso spazio dell'Expo, va il mio grazie. Ringrazio poi l'ILVA  che, nonostante i gravi problemi del settore siderurgico, ha fornito il materiale e la  Coronella Costruzioni  e  la Riparazioni Navale  che ha provveduto  all'assistenza tecnica e ha effettuato i lavori di taglio. 
E infine la mia particolare stima e gratitudine va ai lavoratori della 
CULMV  che con grande professionalità e impegno hanno portato a termine il lavoro in condizioni difficili.
A loro dedico questo catalogo le cui immagini testimoniano come ogni prodotto, anche artistico, sia frutto della fantasia, dell'intelligenza, della tecnica e della fatica di più soggetti.
Senza questi contributi il "Coro" sarebbe ancora un sogno.

Nuovi generi di conforto
Passanti sotto la tenda del circo: perplessi
Sandra Solimano

Danza macabra o rito iniziatico o sprovveduto vagabondaggio di massa nell' ennesimo parco giochi della società dei consumi il viaggio che Nazzaretto propone nello spazio allestito a Villa Croce ha un obiettivo di minima: provocare reazioni se non emozioni, grazie anche ad un ricorso generoso agli effetti speciali (la scala "macro" delle forme, i colori squillanti, disturbi ottici e sonori) in una messa in scena che non teme il kitsch, ma anzi quasi lo cerca come soglia minima di una comunicazione degradata a spettacolo. Singolare evoluzione di una ricerca che pur affonda le sue radici nella teatralità (Nazzaretto ha fatto studi di Accademia Drammatica e ha esordito come
scenografo) questa recente opera dell'artista (perchè di un'unica opera si tratta, da leggere nella sua globalità) segna un deliberato distacco dal registro alto e suo malgrado classico della scultura in bronzo in cui l'artista si è impegnato
sino ad ora, in favore di un linguaggio popolare ed esplicito, semplificato e chiassoso come uno spot pubblicitario.
Il fantasma del surrealismo che la scultura in bronzo bloccava in forme monumentalie raffinate, in qualche modo troppo legate agli archetipi storici per veicolare la novità del messaggio, esplode ora nella forma ingigantita della spina del ferrospinato che si fa piovra o tentacolo, più spesso sin troppo evidente sigla antropica inclinando peraltro al Neo-pop in una mostruosità che ricorda i cibi giganti di Oldenburg o i pupazzi antropomorfi di Niki de Saint - Phalle, piuttosto che i fantasmi dell'inconscio di Ernst o di Dalì. 
In realtà Nazzaretto utilizza in entrambi i casi un analogo procedimento di svuotamento della forma umana in segno (la bocca / becco / mano / artiglio nel bronzo; la spina / corpo in questi gessi) ma accede ora ad una dimensione molto meno individuale allargando il tema dell'angoscia esistenziale ai riti collettivi della quotidianità. A se stesso spettatore disincantato e afflitto dal degrado della qualità della vita assegna il compito di allestire questa ironica dolente sacra rappresentazione della realtà umana in cui il cibo e la sua degenerazione da bisogno primario a consumo patologico diventano tema centrale e sarcastica epifania. Cibo giallo come l'oro di cui si sostanzia e cresce a dismisura la piovra gialla che fuoriesce dai limiti del pannello come in 
Prime nozioni per un rapporto corretto con il cibo, cibo rosso di  Pummarò  che genera la rigida e minacciosa rotondità dei filamenti inarcati della spina, cibo come patologia e moda della patologia,Anoressico  e  Bulimica  come due carrozzerie metallizzate, quasi un logotipo tecnologico di questa moderna variante manichea.
Divorare o essere divorati sembra essere comunque il destino finale che l'artista prefigura, anche dove allarga il discorso ai due protagonisti della storia, l'uomo e la donna ( 
Fiocco azzurro  e  Fiocco rosa  sono i due manichini dipinti di stucchevole colore pastello appesi ad una sagoma di casa come animali macellati) intenti a nutrire / distruggere la creatura che da loro si genere nel falso idillio di  Tra le mura domestiche  dove affronta invece come in  Villaggio globale  lo stereotipo della comunicazione come consumo e logoramento dell'immagine ridotta a scoria e reperto metabolizzato. Non sfugge a questa destinazione finale neanche l'immagine sacra di una  Depo-crocefissione, "consumata" dall'iterazione iconograficao (della storia dell'arte non meno che della devozione popolare) che comunque svuota di significato il significante sino a ridurlo, come già insegnava Andy Warhol negli anni Sessanta, ad una fragile icona mass-mediologica.

Il colore, utilizzato scopertamente nelle sue valenze simboliche, acquista comunque nella duplice presenza di cromia squillante e sfacciata e di materia talora gessosa, talora leggera e metallica, una funzione spiazzante: distrae con la sua apparente gioiosità dal tema e dal soggetto conferendogli l'apparenza di un gioco (per poi svelarne l'essenza maligna), amalgama forme e supporto con un ricercato effetto di inespressività che cancella l'involontario plusvalore estetico che scaturisce dagli accostamenti di materiali diversi come in certe intense impaginazioni oggettuali del Pop americano.
Scompaiono invece nella versione definitiva di queste "sculture" non solo la traccia del progetto, che pur è sotteso al rigoroso rapporto tra campiture e forme colorate, ma anche, per esempio, la componente emozionale e in qualche modo "pittorica " che si genera nel work in progress dal contatto tra il supporto di legno naturale e l'anima della forma in tondino di ferro o in spirali di gomene attorte.

La struggente malinconia e la drammaticità di ogni materia con la sua storia tutto sommato natutale e umana non trovano spazio (e non possono trovarlo ) in questa dimensione di "artificio') che intende tradurre il disagio esistenziale in un disagio di superficie (visivo, uditivo, sonoro) da sperimentare nella fruizione dell'installazione come in un laboratorio.
Anche laddove l'artista utilizza con sapienza effetti pittorici (come nelle opere realizzate per ultime nel corso dell'installazione: 
Tra le mura domestiche Villaggio globale Arrivederci) ne rifiuta concettualmente una lettura in termini di valenza estetica, peraltro inevitabile, sottolineando invece l'analogia tra l'impasto pittorico e la fluidità dei materiali organici da cui si genera la vita
biologica (
Tra le mura domestiche) o dei residui dell'uomo degradato a materia dalle violenze tecnologiche della guerra (Villaggio globale) .

Modello e simulazione del mondo reale, l'installazione ne riproduce anche le coordinate spazio temporali grazie a due grandi porte (una a Nord sontuosa e rutilante, l'altra a Sud povera e in abbandono). Trasparente allusione alle due metà del mondo esse sono comunque impraticabili e chiudono inesorabilmente, rendendolo ancora più ossessivo e claustrofobico, il microcosmo di giocosi tormenti che l'artista intende infliggere al visitatore nell'utopico tentativo di svelare l'inganno o quantomeno di indurre qualche incertezza sul migliore dei mondi possibili.
II " Pannello dei modelli", rivisitazione tridimensionale dello scanaviniano alfabeto senzafine (o come l'artista preferisce boltanskiano cimitero di presenze/assenze), fornisce all'ingresso un'illeggibile e ironica legenda di questo universo di segni che Nazzaretto combina tra loro arbitrariamente. Ai titoli ed ai soggetti da "tranche de vie" sino adora citati si alternano nella sequenza di un racconto per flash titoli e soggetti di assoluto minimalismo come 
Bianco,NeroBlu Oltremare, quasi a voler ricondurre il segno / colore al suo rapporto autoreferenziale o invece a sottolineare la polivalenza e l'ambiguità del segno laddove il titolo non indirizzi la lettura e lasci a chi guarda l'ingrato compito di capire o più iacilmente di non capire, sgomentarsi, indignarsi di fronte all'ennesimo sberleffo dadaista dell'arte contemporanea.
E chi spera che i raffinati, languidi cromatismi del pannello conclusivo,
Arrivederci, vogliano suggerire un saluto più morbido e leggero si riconoscerà vittima dell'ennesimo inganno scoprendo che, al posto dei colori, Nazzaretto ha usato rosso castellani e blu di metilene, ad uso e consumo di
una beffarda disinfezione finale..

Nuovi generi di conforto
Mara Rumiz
Assessore alla Cultura del Comune di Venezia


Maurizio Nazzaretto ha voluto fortemente lavorare a Venezia. Non ha semplicemente trasferito le sue opere: ha cercato un luogo, lo ha "attrezzato", ha lavorato nella nostra città, ha costruito relazioni. È questo il motivo che ha portato l'Assessorato alla Cultura a concedere il patrocinio all'iniziativa, accogliendo la proposta fatta in tal senso dal Comune di Genova. È positivo che si creino occasioni di collaborazione fra le città tese a favorire gli scambi di esperienze, la circolazione delle nuove tendenze culturali. Nazzaretto inoltre ha dimostrato come uno spazio particolare e difficile come quello dell'ex Teatro all'Arsenale possa essere egregiamente utilizzato a fini culturali.

Anche questo è uno stimolo per noi: bisogna uscire dal solito circuito delle sedi "deputate", bisogna valorizzare luoghi normalmente chiusi, bisogna tentare davvero di far vivere la città in tutte le sue parti mettendo in moto tutte le energie, sia quelle di coloro che qui vivono sia quelle di coloro che "scelgono" Venezia come luogo di produzione culturale.

 

Nuovi generi di conforto
Mara Rumiz
Assessore alla Cultura del Comune di Venezia


Maurizio Nazzaretto wanted strongly to work in Venice, not only did he move his works, he looked for a place, he fitted it out, he worked in our city. And he built relations and connections. That is why the Culture Councillorship of Venice has decided to grant the initiative and our support in accordance with the proposal of the Genoa City Hall.

We deem interesting and positive the cooperation between two cities both interested in favouring the exchanges of the experiences and the circulation of new cultural trends. Nazzaretto has demonstrated how a peculiar space as
the ex-theatre of Arsenale is, can be used for cultural purposes. This is an incentive to us: it is necessary to leave the usual circuit of the established seats in order to exploit the spaces usually closed, in order to make all the sides of the city alive, stimulating all the energies both of those who live in it and of lose who "choose" Venice as a place for their cultural production.

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Grafica e realizzazione: Maurizio Frizziero - frizziero@gmail.com